Cerea Verona SABATO 16 ottobre - DALLE 10,00 ALLE 21,00
Programma
PARABOLOIDE LARGE
17,00-19,00 Cube 41
Mitica band veronese unisce pop rock e musica elettronica in un mix energizzante. Filippo, Mattia, Fabio e Alberto, insieme dal 2005, hanno già maturato collaborazioni di peso (due singoli con il produttore dei Guano Apes, il 2 settembre hanno aperto la data dei Sonohra al teatro Romano, ecc.).
Muse ispiratrici: da Michael Jackson, a Peter Gabriel, ai Toto, ai Depeche Mode..., a breve usciranno con un EP.
www.cube41blog.com (dal 25 settembre on line)
19,00-20,00 Sonohra
I più famosi fratelli d'Italia in un'inedita performance acustica: due voci e due chitarre da vivere a fior di pelle. www.sonohraofficial.com
PARABOLOIDE PRIVE'
10,00-21,00 Vedere, provare, acquistare: vi aspettano stand di liutai e endorser e specialisti
in strumenti e attrezzature musicali di ieri, oggi e domani, il meglio del collezionismo, scuole di musica e di ballo... benvenuti nel mondo della musica!
PADIGLIONE FOOD&MUSIC
10,00-21,00 Roses American Bar, food & beverage: l’happy hour lunga un giorno. Sfizioserie da bere e mangiare preparate dalla Band Roses, capitanata dal boss Joy Fazion
12,00-14,00 Concerto Aperitivo
15,00-17,00 Gianluca Mosole
La mano sinistra più dritta che c'è:Mosole è il guitarman mancino che non ha mai girato le corde. www.gianlucamosole.com
17,00-19,00 Sasha Torrisi
L'ex voce e chitarra dei Timoria, tra le altre, riecheggia all'Heineken Jammin' Festival del 2001 con Vasco Rossi e apre il concerto degli U2 a Torino. http://www.myspace.com/sashatorrisi
19,00-21,00 Leo Corradi e Francesco Geminiani in jam
In esclusiva assoluta, per la prima volta insieme, "l'organista" per definizione Leo Corradi e il sax pulsante di Francesco Geminiani. www.myspace.com/leocorradi www.myspace.com/francescogeminiani
AUDITORIUM
10,00-12,00 Seminari Scuole
A tu per tu con le migliori scuole di musica e ballo del centro-nord.
per conoscerle, per confrontarsi, per sceglierle.
13,00-15,00 Seminari Scuole
15,00-17,00 Donato Begotti – chitarra/rock - seminario e performance
Accademico della chitarra elettrica, rocker, dimostratore per Ibanez, Marshall, Rocktronics, ecc. Una lezione di virtuosismo elettrico ed elettrificante. www.donatobegotti.com
17,0 -18,0 Gianni dalla Cioppa - Lectio: i fondamentali per prodursi e promuoversi
Scrittore, giornalista, editore metal, nemico del download e dell’ MP3,
delinea il metodo professionale di riprodurre e veicolare la propria musica. http://ilpuntogd.blogspot.com/
XSPACE
10,00-13,00 Seminari Scuole
14,00-20,00 Emergenti Band e solisti emergenti - dalla cantina al palcoscenico:
un'ampia vetrina dedicata ai talentuosi.
DOMENICA 17, dalle 10 alle 19
PARABOLOIDE LARGE
13,00-15,00 Gianluca Tagliavini & Friends
Il tastierista indispensabile della PFM, con colleghi del suo calibro, per una performance eccezionale.
it.wikipedia.org/wiki/Gianluca_Tagliavini
15,00-17,00 Arthemis
Brividi di metallo con la Heavy-Trash Metal band
del mitico chitarrista shred-Metal Andrea Martongelli. www.arthemismusic.com
17,00-19,00 Jalapenos Tx
Le seggiole non servono: musica country cantata, suonata e ballata a perdifiato. Tutti insieme per 2 ore che tagliano le gambe. www.jalapenos-tx.com
PARABOLIOIDE PRIVE'
10,00 -19,00 Vedere, provare, acquistare: vi aspettano stand di liutai e endorser e specialisti in strumenti e attrezzature musicali di ieri, oggi e domani, il meglio del collezionismo, scuole di musica e di ballo... benvenuti nel mondo della musica!
PADIGLIONE FOOD&MUSIC
10,00-19,00 Roses American Bar, food & beverage
12,00-13,00 Angels&Demon
Una band pensata e voluta da Alex Stornello. Un Power Trio che unisce Rock Metal, Fusion, Jazz. I componenti: Alex Stornello (chitarra), Giorgio JT Terenziani (basso), Paolo Caridi (batteria). http://www.youtube.com/watch?v=0tOkvUwbAmE
13,00-15,00 Luca Donini quartet
Un appassionante tour tra i climi, gli umori poetici, i ritmi, la spiccata sensualità della musica Jazz, Etnica, Andalusa e Argentina. Buon viaggio! www.lucadonini.it
16,00-17,00 Perbellini Trio (Filippo Perbellini, Sam Lorenzini, Enrico Bentivoglio) Rhymth & soul, swing, funky e jazz fusion: emozioni da tre fenomeni, corteggiati dai grandi della musica. www.myspace.com/filippoperbelliniquintet
17,00-19,00 Marco di Maggio
Esponente di punta della scena R’n’R internazionale, considerato dalla stampa specializzata tra i migliori chitarristi al mondo. dal 2008 è stato scelto dalla Gretsch/Fender come unico endorser italiano. Serve altro? www.marcodimaggio.com
AUDITORIUM
11,00-13,00 Camillo Colleluori – batteria – seminario e performance National educator alla Drum School di Franco Rossi, nel 2004 viene citato fra i primi tre batteristi metal italiani da “drumsportal.com”.
Tiene Master Class e seminari in ambito prog-metal con il chitarrista Raffaello Indri, con cui condivide la militanza nei Garden Wall e nei Burnin’ Dolls. Un numero uno very very hard. www.myspace.com/camillocolleluori
13,00-15,00 Andrea Martongelli – chitarra/metal – seminario e performance
Più che un seminario, un’occasione adrenalinica da non perdere. Parole e musica del leader degli Arthemis.
www.andreamartongelli.com
15,00-16,00 Gianni dalla Cioppa - Lectio: i fondamentali per prodursi e promuoversi http://ilpuntogd.blogspot.com/
17,00-19,00 Bermuda Acoustic Trio - Seminario e Concerto
Protagonisti dei più prestigiosi festival chitarristici, si sono imposti al grande pubblico nell'ultima edizione di Mai Dire Martedì della Gialappa's Band. Spontanei, creativi, irriverenti: in una parola, imperdibili. www.bermudaacoustictrio.com
XSPACE
11,00-13,00 Seminari Scuole
13,00-18,00 Emergenti
Ingresso giornaliero (con accesso a tutte le attività e i concerti): 8 Euro. I biglietti si acquistano direttamente alla fabbrica dei giorni di fiera.
giovedì 23 settembre 2010
giovedì 16 settembre 2010
LA VENETIA PUO' PRONUNCIARE A FRONTE ALTA UNA PAROLA COSI' SACRA COME E' L'INDIPENDENZA Fedele Lampertico
LA VENETIA PUO' PRONUNCIARE A FRONTE ALTA UNA PAROLA COSI' SACRA COME E' L'INDIPENDENZA
FEDELE LAMPERTICO IN PER VICENZA E IL BENE COMUNE , OPERE SCELTE DI FEDELE LAMPERTICO , BIBLIOTECA CIVICA BERTOLIANA, 2006, PAG. 95.CITO AUTORITA' NON SOSPETTE. CON QUALI TERMINI THIERS, GIUDICA, QUANTO ALLA VENETIA IL TRATTATO DEL 1815?
EGLI DICE CHE L'AUSTRIA SE LA DIVORAVA (LIV LVI)
FEDELE LAMPERTICO PAG 96OGNI VENETO PUO' PORSI LA MANO SUL CAPO , PUO' DIRE: FRUGATE PURE; MA COME HEYNE,PUO' AGGIUNGERE: IL CONTRABBANDO E' QUI DENTRO.
QUINDI SE VESSATORI SE STRAZIANTI SONO I PROCESSATI POLITICI , DIVENTANO DEL TUTTO INCONCLUDENTI PEL FINE CHE IL GOVERNO PUO' RIPROMETTERSENE.
QUINDI SE MOLESTA, SE ODIOSA E' LA POLIZIA, E' ALTRETTANTO INUTILE AL GOVERNO.
FEDELE LAMPERTICO PAG. 99NON PARLIAMO DELLO STATO ECONOMICO, DELLE IMPOSTE DIRETTE.
L'ENORMITA' NE FU PALESATA PIU' VOLTE
(PASINI,MENEGHINI, ED ALTRI)FEDELE LAMPERTICO PG. 109
LA VENETIA VEDE I TRIESTINI VENIR FINO A CHIOGGIA, E PER I SUOI CANALI INTERNI PROVVEDERE FERRARA, BOLOGNA. LA VENETIA NULLA FA, NULLA TENTA I E' ESANITA.
FEDELE LAMPERTICO PAG. 101SE TANTI VENETI MORIRONO NELLE BATTAGLIE, SE TANTI SONO IN BANDO, SE TANTI SONO EMIGRATI , SE TANTI SUBISCONO PROCESSI, SE TANTI FURONO FUCILATI PURCHE' PER LA SOLA DETENZIONE DI UN'ARMA, CI0' VUOL DIRE DI NECESSITA' CHE ALLA CALAMITA' PUBBLICA AGGIUNGENDOSI LA DISGRAZIA PRIVATA, ALL'ODIO FAMIGLIARE: ED E' ALLORA CHE UN GOVERNO L'AFFETTO NON RIACQUISTA PIU', QUANDO SONVI DI MEZZO SVENTURE DOMESTICHE, QUANDO SONVI OFFESE PRIVATE, QUANDO SONVI DEI TELL.
FEDELE LAMPERTICO PAG. 102L'AUSTRIA NON PUO' ENTRARE IN UNA CONFEDERAZIONE ITALICA. NON PARLIAMO DELL'OBBLIGO MORALE CHE HA IL GOVERNO ITALIANO VERSO I VENETI,..
FEDELE LAMPERTICO PAG. 103PURTROPPO L'EMIGRAZIONE VENETA, INSIEME A NOMI INTEMERATI, SI MESCOLANO ANIMI RISENTITI E POSTATI DA ECCESSIVA IMPAZIENZA E IDEE ESAGERATE. QUESTO TUTTAVIA E' CONSEGUENZA D'UNO STATO DI COSE CHE NON PUO' DURARE, CHE E' ASSURDO; E NON TOGLIE PUNTO NE' POCO IL GRAN FATTO CHE INVECE IL FONDO, L'UNIVERSALE DEI VENETI E' ASSAI MITE, ASSAI TEMPERATO.
FEDELE LAMPERTICO PAG. 104L'ESISTENZA DELLA REPVBLICA VENETIA, AVEVA IN OGNI TEMPO ISOLATI I POSSEDIMENTI SPAGNOLI E SUCCESSIVAMENTE GLI AUSTRIACI NELL'ITALIA SUPERIORE, E PERCIO' GLI AVEVANO RESI MENO FORMIDABILI.
FEDELE LAMPERTICO PAG. 105E' INEVITABILE SE CIO' CONCHIUDE CHE IL DOMINIO DELL'AUSTRIA DEVE CESSARE PRESTO. VI E' CHI PRIMA VORREBBE FINIRLA CON ROMA..
FEDELE LAMPERTICO PAG. 109TUTTE LE POTENZE HANNO TRADIZIONI E NE SONO IN UN CERTO MODO IMPEGNATE: DIFFICILMENTE SI ADATTANO AL NUOVO DIRITTO EUROPEO.
FEDELE LAMPERTICO P. 110IL GOVERNO DI SUA MAESTA' BRITANNICA PER ORGANO DEL MINISTERO DEGLI ESTERI RUSSELL RICONOSCEVA L'IMPOSSIBILITA' DI ADUNARE UN CONGRESSO E INVITARE IL RAPPRESENTANTE D'ITALIA E SEDERVI SENZA TRATTARE DELLO STATO DELLA VENETIA.
FEDELE LAPERTICOIN QUESTE QUESTA NOTA IL CARATTERE DEL DOMINIO AUSTRIACO NELLA VENETIA E'POSTO VERAMENTE IN RILIEVO DIMOSTRANDOSI COME QUESTA OCCUPAZIONE MILITARE , QUESTA GRANDE INGIUSTIZIA, CUI L'OPERA DEL TEMPO FU IMPOTENTE A DARE UNA CONSACRAZIONE MORALE , NON PUO' A LUNGO DURARE, E CHE UNA PACIFICAZIONE DELLA QUESTIONE VENETIA RIDONDEREBBE IN VANTAGGIO AI POPOLI.
FEDELE LAMPERTICO.E QUEST'ATTITUDINE DEI NOSTRI FRATELLI D'OLTRE MINCIO E' QUELLA CHE CONFORTA I DOLORI DI NOI VENETI, E CI FA PAZIENTI A SOPPORTARE ANCORA PER POCO LE BATTITURE DELLO STRANIERO; PERCHE' E' PEGNO SICURO D'IMMANCABILE LIBERTA'.
FEDELE LAMPERTICO PAG. 113.... IMPORTO DI OSSERVARE CHE ASSAI POCHI ERANO GLI STATI ITALICI AI QUALI DOVEASI TOGLIERE L'AUTONOMIA ;..
F.LAMPERTICO PAG. 120L'ATONIA DEL VENETO PER LA PUBBLICA COSA, L'INDIFFERENZA CON CUI SI LASCIA PERVENIVA ALLE CONGREGAZIONI CENTRALI I PIU' INETTI, LE DERISIONE CON CUI SI ACCOGLIE QUALUNQUE PROMESSA DI STATI, NON POSSONO NASCONDERSI..
F. LAMPERTICO PAG.125..IL VENETO E' ORA COSTRETTO A PAGARE DA QUELLA STESSA POTENZA, CHE GLI TOGLIE OGNI MEZZO A RIFARE LA SUA FORTUNA.
F. LAMPERTICO.A CURA DI RENATO DE PAOLI
VVVVVVVVVVVVVVVVVVVVVVVVVVVVVVVVVVVVVVVVVVVVVVVVVVVVVVVVVVVV
TRACE LETERE ARTE
ISOLE SPAMPINE' REPVBLICA VENEXA DA MAR
SETE AVE MARI A DRENTO I LIDI DEL BOSCO SACRO ISOLE VENEXIA PALO AVI (ENDOLAGUNA)
LA GIUSTIZIA VENETA E IL FORNARETO DI VENEZIA di E. Rubini
LA GIUSTIZIA VENETA E IL FORNARETO DI VENEZIA di E. Rubini
pubblicata da Millo Bozzolan il giorno mercoledì 15 settembre 2010 alle ore 21.15
dopo aver perso il diritto naturale di essere stato e vederci negata persino l'idea di essere nazione, abbiamo visto in questi 200 anni, completamente travisati i princìpi di giustizia su cui si reggeva il dominio veneziano. una campagna che ha i suoi primi padri tra gli illuministi del 700 e che è proseguita poi con l'aiuto di una vera e propria campagna di falsità. Spicca tra tutte la leggenda del "fornareto", vittima della sanguinaria mano della legge veneta. Leggiamo quanto scrive Edoardo Rubini, specialista del settore, in proposito:
I fondamenti della Giustizia nella Veneta
Serenissima Repubblica
1. Come definire l’amministrazione della Giustizia nella Repubblica Serenissima?
La giustizia nello Stato Marciano si può definire sostanziale: il concetto è importante perché tutti sentono l’esigenza che in un tribunale si facciano sentenze ispirate ad un armonico equilibrio; ogni uomo nel suo cuore deve riconoscere la sentenza come il Bene, la cosa giusta. La giustizia dei tempi odierni è invece formale, perché amministrata attraverso la meccanica applicazione di leggi scritte.
Tale sistema formale nasce dal pensiero illuminista, tutto teso a spazzare via il fondamento divino della legge; in particolare Rousseau e Montesquieu hanno voluto teorizzare una società perfetta, dove, una volta scritte delle belle leggi in nome del popolo sovrano, tutto d’incanto sarebbe funzionato a meraviglia.
Il sistema in uso negli Stati Cristiani, tra cui la Serenissima, era diverso: nessuno agognava un utopico progresso, piuttosto si faceva tesoro dell’esperienza. Si governava e si giudicava studiando l’animo umano per regolarlo al meglio. Le leggi dello Stato antico trattavano questioni specifiche e particolari: non c’erano organismi politici a decidere cos’è giusto e cos’è sbagliato, cos’è la vita, cos’è la famiglia, se c’è o non c’è differenza tra l’uomo e la donna, il senso dell’onore, e così via.
Esisteva dunque un fondamento trascendente, un patrimonio sacro, immutabile, intangibile: noi tecnici del diritto lo chiamiamo “Diritto Naturale”, cioè connesso alla Tradizione.
Di questo ordine, che fu vigente per un millennio e mezzo, oggi si son perdute le tracce: i cambiamenti seguiti alla Rivoluzione Francese e alle invasioni napoleoniche hanno avuto l’effetto a lungo termine di sradicare la Civiltà Cattolica preesistente in tutta Europa.
2. Ma vediamo se, in pratica, la Giustizia a Venezia era disumana, oppure se era quella che il popolo si aspettava.
La pratica giudiziaria che i Veneziani coltivarono per secoli si basava su mitezza, equità ed imparzialità: si reprimevano i reati più gravi con severità ed asprezza, ma nei casi ordinari lo Stato era clemente e comprensivo, si comportava con i sudditi come mamma e papà. Come su tutto il resto, la Serenissima non faceva buonismo, né pensava ai massimi sistemi, ma si concentrava sul PROBLEMA PRATICO. Poco importava se in un processo che magari minacciava la sicurezza di tutti ci fossero tre gradi di giudizio, come si fa invece oggi: si pensava fosse più utile fissare la regola che i processi si dovessero chiudere entro un mese.
Se poi questo non accadeva erano guai: si ricercavano attentamente le cause che avevano impedito al sistema di funzionare, si prendevano provvedimenti utili, a volte sperimentando soluzioni innovative, poi si applicavano sanzioni a chi avesse trascurato i propri doveri.
Come dimenticare che Venezia fu forse la prima a garantire un avvocato gratuito ai reclusi in carcere e ai condannati a morte? Come dimenticare l’autorevolezza dei suoi giudici in tutto il mondo conosciuto, un prestigio che finì per riverberarsi persino nei drammi di Shakespeare? In questo palazzo nacque la figura del Pubblico Ministero, che prima era sconosciuta al mondo civilizzato: qui da noi si chiamavano Avogadori de Comun.
E ancora: il processo accusatorio, vanto del mondo anglosassone, da noi costituiva la regola, essendo praticato dalla Quarantia Criminal. L’Italia lo ha introdotto solo l’altro giorno: negli anni ’90 ha abbandonato il modello inquisitorio, basato sulle carte accumulate dal giudice istruttore, per passare al processo orale, in cui si costruisce la prova attraverso il dibattimento in udienza, proprio come succedeva a Venezia.
3. Sul Fornaretto e sui Piombi si sono dette cose fuori dal mondo, che non corrispondono alla verità storica, ma che si sono innestate nella memoria collettiva.
Un cosiddetto storico francese di fine ‘700, che va ancora per la maggiore nell’università italiana, di nome Darù, lavorava per Napoleone e scrisse una storia di Venezia per diffamarla. Così definì i Piombi fournaises ardentes , cioè fornaci ardenti, mentre queste celle erano collocate nel sottotetto di palazzo ducale dove si stava discretamente bene, poi scrisse che i Pozzi erano gallerie sotterranee: naturalmente non aveva mai visto ciò che descriveva, dimenticando che nel sottosuolo di Venezia c’è… l’acqua!
Quanto al cosiddetto Fornaretto, la leggenda ebbe una fortuna incredibile, dal dopoguerra in poi è divenuta l’unica nozione di giustizia veneta assimilata a livello di massa. La vicenda fu montata nell’Ottocento, nel tempo in cui, per esempio, la letteratura romantica ribattezzò il ponte delle prigioni in “Ponte dei Sospiri” (altro nome inventato per i turisti). Il Fornaretto, dicevo, sarebbe stato un popolano messo a morte ingiustamente, accusato di un omicidio altrimenti commesso da un nobile. Un aneddoto partorito apposta per colpire la fantasia popolare: dai documenti originali non risulta tutto questo: solo in alcuni registri di condannati a morte ci è rimasto il nome di un tale Pietro Faciòl, ma in realtà non conosciamo l’identità di questo tizio. Il fatto è che del processo narrato dalla leggenda non si trova alcuna traccia in nessun documento di inizio ‘500, quando si sarebbe consumato l’omicidio in questione.
Nel 1507, anno trattato nei minuziosi Diari di Marin Sanudo, non si fa cenno a nessun giovane garzone impiccato per errore giudiziario. Eppure, sull’onda del suggestivo Fornaretto, è fiorita una prolifica divulgazione: dall’omonimo dramma teatrale messo in scena da Francesco Dall’Ongaro nel 1846, al famoso giallo Il Fornaretto di Venezia di Franco Zagato edito dalla Newton Compton nel 1985, passando addirittura per il cinema, con l’omonimo film del 1963 diretto dal regista Duccio Tessari.
4. Sorge spontanea la domanda: possibile che nessuno senta puzza di bruciato?
No, nessuno si rende conto del bluff di una storia manipolata, peraltro attraverso avvenimenti di una gravità enorme. La demolizione della nostra storia nazionale va fatta risalire al 1767, quando fu pubblicata in italiano la traduzione della Historie de la république de Venise depuis sa fondation jusqu’à présent par monsieur l’abbé Laugier del 1759.
Colmo della beffa, si trattava di un clamoroso plagio, rilevato già dai contemporanei, dei Principj di Storia Civile di Vettor Sandi. Laugier scopiazzò l’opera dell’insigne patrizio veneto senza citarlo e v’introdusse l’impostazione ideologica illuminista. Fu egli per primo ad affermare la pretesa soggezione veneziana a Bisanzio durante l’Alto Medioevo, sicché oggi tutti i professori italiani imitano pedissequamente la sua impostazione. Tali falsità preconcette irritarono a tal punto Sandi da indurlo a pubblicare nel 1769 un testo anonimo per confutare quell’insano, reo, o leggiero francese, come lui chiamava Laugier.
Sandi scrisse così gli Estratti della storia veneziana del signor abbate Laugier ed osservazioni sopra gli stessi, ma gli Inquisitori di Stato invece di dargli man forte fecero togliere dalla circolazione le copie del saggio, per paura di complicazioni diplomatiche. Ma consoliamoci: le falsificazioni dei francesi Laugier e Darù si sarebbero trasformate in un danno irreversibile se non si fosse riusciti ad ottenere la restituzione dell’Archivio di Stato sottratto da Napoleone e portato a Parigi, durante l’invasione della Repubblica nel 1797. Una volta fatti sparire i documenti originali, sarebbe divenuto facile a qualunque storico prezzolato far passare ogni fandonia come verità.
5. A palazzo ducale si conserva ancora una lapide marmorea con un’iscrizione, che spiega come i giudici debbano pervenire alla sentenza: che cosa dice di preciso?
«Per prima cosa indagate sempre con diligenza, per sentenziare con giustizia e carità, e non condannate nessuno senza prima aver tenuto un equo e veritiero giudizio; non giudicherete sopra alcuna cosa in base a sospetti arbitrari; al contrario raccogliete prima le prove e solo dopo proferite sentenza, ispirata a carità: ciò che non volete che sia fatto a voi, rifiutate di fare agli altri».
Questo testo campeggia ancor oggi in sala dell’Avogaria a Palazzo Ducale, scritto in latino su una lapide marmorea. Erano norme giuridiche di metodo rivolte ai giudici per spiegare come procedere contro i criminali. Contengono i due principî cardine del diritto veneto: giustizia e carità.
Giustizia vuol dire che lo Stato DEVE (cioè ha il dovere di) dare a ciascuno il suo, rimediando ai torti e punendo i colpevoli senza esitazione; ma questa alta funzione dev’essere contemperata dall’altro principio, cioè la carità, che viene ripetuto per ben due volte.
“Carità” qui è intesa in senso cristiano e tale concetto è spiegato subito con una citazione diretta del Vangelo: “non fare agli altri ciò che tu non vuoi sia fatto a te”.
Insomma, il principio di Carità modera e guida il senso di giustizia, impedendo che la repressione penale diventi una macchina cieca e disumana, come accade quando i giudici dimenticano i fini ultimi per i quali stanno operando; essi - sembra insegnare la lapide - sono uomini che devono giudicare altri uomini, perciò devono usare lo stesso metro che userebbero per giudicare se stessi.
Enorme lo spessore di questi precetti morali, che fanno esplicito rinvio alle Sacre Scritture: in definitiva prevale l’idea che la Veneta Serenissima Repubblica si ergeva su fondamenti di natura spirituale, quando invece la Repubblica Italiana è figlia del materialismo: l’articolo n. 1 della Costituzione del 1948 recita infatti che “l’Italia è fondata sul lavoro”, dunque su un elemento materiale.
Edoardo Rubini
I fondamenti della Giustizia nella Veneta
Serenissima Repubblica
1. Come definire l’amministrazione della Giustizia nella Repubblica Serenissima?
La giustizia nello Stato Marciano si può definire sostanziale: il concetto è importante perché tutti sentono l’esigenza che in un tribunale si facciano sentenze ispirate ad un armonico equilibrio; ogni uomo nel suo cuore deve riconoscere la sentenza come il Bene, la cosa giusta. La giustizia dei tempi odierni è invece formale, perché amministrata attraverso la meccanica applicazione di leggi scritte.
Tale sistema formale nasce dal pensiero illuminista, tutto teso a spazzare via il fondamento divino della legge; in particolare Rousseau e Montesquieu hanno voluto teorizzare una società perfetta, dove, una volta scritte delle belle leggi in nome del popolo sovrano, tutto d’incanto sarebbe funzionato a meraviglia.
Il sistema in uso negli Stati Cristiani, tra cui la Serenissima, era diverso: nessuno agognava un utopico progresso, piuttosto si faceva tesoro dell’esperienza. Si governava e si giudicava studiando l’animo umano per regolarlo al meglio. Le leggi dello Stato antico trattavano questioni specifiche e particolari: non c’erano organismi politici a decidere cos’è giusto e cos’è sbagliato, cos’è la vita, cos’è la famiglia, se c’è o non c’è differenza tra l’uomo e la donna, il senso dell’onore, e così via.
Esisteva dunque un fondamento trascendente, un patrimonio sacro, immutabile, intangibile: noi tecnici del diritto lo chiamiamo “Diritto Naturale”, cioè connesso alla Tradizione.
Di questo ordine, che fu vigente per un millennio e mezzo, oggi si son perdute le tracce: i cambiamenti seguiti alla Rivoluzione Francese e alle invasioni napoleoniche hanno avuto l’effetto a lungo termine di sradicare la Civiltà Cattolica preesistente in tutta Europa.
2. Ma vediamo se, in pratica, la Giustizia a Venezia era disumana, oppure se era quella che il popolo si aspettava.
La pratica giudiziaria che i Veneziani coltivarono per secoli si basava su mitezza, equità ed imparzialità: si reprimevano i reati più gravi con severità ed asprezza, ma nei casi ordinari lo Stato era clemente e comprensivo, si comportava con i sudditi come mamma e papà. Come su tutto il resto, la Serenissima non faceva buonismo, né pensava ai massimi sistemi, ma si concentrava sul PROBLEMA PRATICO. Poco importava se in un processo che magari minacciava la sicurezza di tutti ci fossero tre gradi di giudizio, come si fa invece oggi: si pensava fosse più utile fissare la regola che i processi si dovessero chiudere entro un mese.
Se poi questo non accadeva erano guai: si ricercavano attentamente le cause che avevano impedito al sistema di funzionare, si prendevano provvedimenti utili, a volte sperimentando soluzioni innovative, poi si applicavano sanzioni a chi avesse trascurato i propri doveri.
Come dimenticare che Venezia fu forse la prima a garantire un avvocato gratuito ai reclusi in carcere e ai condannati a morte? Come dimenticare l’autorevolezza dei suoi giudici in tutto il mondo conosciuto, un prestigio che finì per riverberarsi persino nei drammi di Shakespeare? In questo palazzo nacque la figura del Pubblico Ministero, che prima era sconosciuta al mondo civilizzato: qui da noi si chiamavano Avogadori de Comun.
E ancora: il processo accusatorio, vanto del mondo anglosassone, da noi costituiva la regola, essendo praticato dalla Quarantia Criminal. L’Italia lo ha introdotto solo l’altro giorno: negli anni ’90 ha abbandonato il modello inquisitorio, basato sulle carte accumulate dal giudice istruttore, per passare al processo orale, in cui si costruisce la prova attraverso il dibattimento in udienza, proprio come succedeva a Venezia.
3. Sul Fornaretto e sui Piombi si sono dette cose fuori dal mondo, che non corrispondono alla verità storica, ma che si sono innestate nella memoria collettiva.
Un cosiddetto storico francese di fine ‘700, che va ancora per la maggiore nell’università italiana, di nome Darù, lavorava per Napoleone e scrisse una storia di Venezia per diffamarla. Così definì i Piombi fournaises ardentes , cioè fornaci ardenti, mentre queste celle erano collocate nel sottotetto di palazzo ducale dove si stava discretamente bene, poi scrisse che i Pozzi erano gallerie sotterranee: naturalmente non aveva mai visto ciò che descriveva, dimenticando che nel sottosuolo di Venezia c’è… l’acqua!
Quanto al cosiddetto Fornaretto, la leggenda ebbe una fortuna incredibile, dal dopoguerra in poi è divenuta l’unica nozione di giustizia veneta assimilata a livello di massa. La vicenda fu montata nell’Ottocento, nel tempo in cui, per esempio, la letteratura romantica ribattezzò il ponte delle prigioni in “Ponte dei Sospiri” (altro nome inventato per i turisti). Il Fornaretto, dicevo, sarebbe stato un popolano messo a morte ingiustamente, accusato di un omicidio altrimenti commesso da un nobile. Un aneddoto partorito apposta per colpire la fantasia popolare: dai documenti originali non risulta tutto questo: solo in alcuni registri di condannati a morte ci è rimasto il nome di un tale Pietro Faciòl, ma in realtà non conosciamo l’identità di questo tizio. Il fatto è che del processo narrato dalla leggenda non si trova alcuna traccia in nessun documento di inizio ‘500, quando si sarebbe consumato l’omicidio in questione.
Nel 1507, anno trattato nei minuziosi Diari di Marin Sanudo, non si fa cenno a nessun giovane garzone impiccato per errore giudiziario. Eppure, sull’onda del suggestivo Fornaretto, è fiorita una prolifica divulgazione: dall’omonimo dramma teatrale messo in scena da Francesco Dall’Ongaro nel 1846, al famoso giallo Il Fornaretto di Venezia di Franco Zagato edito dalla Newton Compton nel 1985, passando addirittura per il cinema, con l’omonimo film del 1963 diretto dal regista Duccio Tessari.
4. Sorge spontanea la domanda: possibile che nessuno senta puzza di bruciato?
No, nessuno si rende conto del bluff di una storia manipolata, peraltro attraverso avvenimenti di una gravità enorme. La demolizione della nostra storia nazionale va fatta risalire al 1767, quando fu pubblicata in italiano la traduzione della Historie de la république de Venise depuis sa fondation jusqu’à présent par monsieur l’abbé Laugier del 1759.
Colmo della beffa, si trattava di un clamoroso plagio, rilevato già dai contemporanei, dei Principj di Storia Civile di Vettor Sandi. Laugier scopiazzò l’opera dell’insigne patrizio veneto senza citarlo e v’introdusse l’impostazione ideologica illuminista. Fu egli per primo ad affermare la pretesa soggezione veneziana a Bisanzio durante l’Alto Medioevo, sicché oggi tutti i professori italiani imitano pedissequamente la sua impostazione. Tali falsità preconcette irritarono a tal punto Sandi da indurlo a pubblicare nel 1769 un testo anonimo per confutare quell’insano, reo, o leggiero francese, come lui chiamava Laugier.
Sandi scrisse così gli Estratti della storia veneziana del signor abbate Laugier ed osservazioni sopra gli stessi, ma gli Inquisitori di Stato invece di dargli man forte fecero togliere dalla circolazione le copie del saggio, per paura di complicazioni diplomatiche. Ma consoliamoci: le falsificazioni dei francesi Laugier e Darù si sarebbero trasformate in un danno irreversibile se non si fosse riusciti ad ottenere la restituzione dell’Archivio di Stato sottratto da Napoleone e portato a Parigi, durante l’invasione della Repubblica nel 1797. Una volta fatti sparire i documenti originali, sarebbe divenuto facile a qualunque storico prezzolato far passare ogni fandonia come verità.
5. A palazzo ducale si conserva ancora una lapide marmorea con un’iscrizione, che spiega come i giudici debbano pervenire alla sentenza: che cosa dice di preciso?
«Per prima cosa indagate sempre con diligenza, per sentenziare con giustizia e carità, e non condannate nessuno senza prima aver tenuto un equo e veritiero giudizio; non giudicherete sopra alcuna cosa in base a sospetti arbitrari; al contrario raccogliete prima le prove e solo dopo proferite sentenza, ispirata a carità: ciò che non volete che sia fatto a voi, rifiutate di fare agli altri».
Questo testo campeggia ancor oggi in sala dell’Avogaria a Palazzo Ducale, scritto in latino su una lapide marmorea. Erano norme giuridiche di metodo rivolte ai giudici per spiegare come procedere contro i criminali. Contengono i due principî cardine del diritto veneto: giustizia e carità.
Giustizia vuol dire che lo Stato DEVE (cioè ha il dovere di) dare a ciascuno il suo, rimediando ai torti e punendo i colpevoli senza esitazione; ma questa alta funzione dev’essere contemperata dall’altro principio, cioè la carità, che viene ripetuto per ben due volte.
“Carità” qui è intesa in senso cristiano e tale concetto è spiegato subito con una citazione diretta del Vangelo: “non fare agli altri ciò che tu non vuoi sia fatto a te”.
Insomma, il principio di Carità modera e guida il senso di giustizia, impedendo che la repressione penale diventi una macchina cieca e disumana, come accade quando i giudici dimenticano i fini ultimi per i quali stanno operando; essi - sembra insegnare la lapide - sono uomini che devono giudicare altri uomini, perciò devono usare lo stesso metro che userebbero per giudicare se stessi.
Enorme lo spessore di questi precetti morali, che fanno esplicito rinvio alle Sacre Scritture: in definitiva prevale l’idea che la Veneta Serenissima Repubblica si ergeva su fondamenti di natura spirituale, quando invece la Repubblica Italiana è figlia del materialismo: l’articolo n. 1 della Costituzione del 1948 recita infatti che “l’Italia è fondata sul lavoro”, dunque su un elemento materiale.
Edoardo Rubini
martedì 14 settembre 2010
lunedì 13 settembre 2010
domenica 12 settembre 2010
sabato 11 settembre 2010
venerdì 10 settembre 2010
VENE XK RENZO FOGLIATA
Torno da un breve viaggio in Grecia. Corfù, con le fortezze Vecchia e Nuova, Leoni marciani ovunque, case, calli, campi, vere da pozzo; Santa Maura (Lefkada), con la fortezza riconquistata da Francesco Morosini nel 1684 quale avamposto per la riannessione dell’intero Peloponneso; Cefalonia, dove su di un’imbarcazione ad uso turistico sventola il Leone di San Marco; Cerigo (Kithira), veneziana per seicento (seicento!) anni, dove l’imponente fortezza veneta domina la capitale e dove le sardine fresche sono per i greci locali le sardele fresche, dove si mangia la pastissada, il sofrito, il barbon, l’orada; Modòn (Methoni), Coròn (Koroni), gli occhi della Repubblica, dove i simboli marciani spaziano dal XIV al XVIII secolo e tutto mostra possanza; Malvasia (Monemvasia) dove le nostre fortificazioni cingono tuttora il massiccio ed elevato scoglio sul quale sorge e che diede il nome alle osterie di Venezia per antonomasia; Nauplia (Nafplion) dove i tre ordini di fortezze - con quella di Palamidi che per imponenza, vastità ed elevazione di sito crea vertigine - sono l’unica vera attrattiva del luogo, dove si trovano i più bei cannoni veneti in bronzo ancora esistenti (vere opere d’arte dei fonditori dell’arsenale), dove le case e i palazzi sono schiettamente veneti, ad iniziare da quello imponente del Provveditor, dove i Leoni non si contano, dove morì Morosini a bordo della sua galea bastarda, Doge e Capitano da Mar, il 7 gennaio del 1694, rammaricandosi solo di non poter più servir la Patria; Corinto, Patrasso, Lepanto. Torno da una conversazione con un archivista di Cerigo che, dopo aver descritto Venezia quale il più grande impero talassocratico precedente a quello inglese, mi guardava incredulo quando gli spiegavo che da noi quasi tutti di storia veneta ignorano tutto perché a scuola non se ne fa cenno; torno da un marinaio di Sami (Cefalonia) che mi ha chiesto se riesco a spedirgli bandiere marciane perché molti lì le vorrebbero ma non le trovano. Torno. E che ti trovo? La campagna del PD: Veneziani tutti italiani. Ebbene, nell’incertezza se questo neonazionalismo dell’ultimo minuto, brandito con quell’inquietante tutti dal sapore massificante e coercitivo, sia più triste o più patetico, mi sono sorte due riflessioni. La prima. L’ultima volta che vidi uno slogan sovrapponibile a questo fu in Istria anni or sono. Erano i militanti dell’estrema destra ustascia, schiettamente fascista, dell’HDZ, il partito di Tudjman, che diffondevano il messaggio Istriani tutti croati, negando il diritto di esistere agli istriani che croati non si sentono affatto. La seconda. Per fortuna – mi son detto – che uno slogan tanto anacronistico, reazionario ed illiberale proviene da chi da oltre mezzo secolo rincorre, in perenne ritardo, la storia che lo scavalca. Sono i figli ed i nipotini di chi fece la tanto decantata scelta parlamentare del dopoguerra sol perché, invero, costretto dalla spartizione del mondo avvenuta a Yalta; i nipotini di chi aborriva ogni nazionalismo ma favoriva tuttavia quello degli altri, quello slavo in particolare, appoggiando tutti i progetti annessionistici di Tito sull’Istria, sulla Dalmazia e persino sul Friuli; sono coloro che prima di rivedere, in parte, simboli e matrici culturali hanno atteso che gli crollasse addosso il muro di Berlino; insomma, i discendenti dei giacobini che, sbigottiti, assistono alla caduta del loro bicentenario impero inchiodati nella trincea della conservazione, del tutto incapaci di interpretare gli eventi ma imbattuti maestri della demonizzazione dell’avversario. Ma allora si può ben sperare. Se anche stavolta costoro hanno interpretato la storia come negli ultimi sessant’anni è certo che la nostra società andrà esattamente nella direzione opposta a quella da loro auspicata. Ed è proprio ciò che sta accadendo. Ad onta di chi, peggio se veneziano, non comprende la nobiltà di una bandiera che rappresenta la Repubblica più longeva mai apparsa sulla Terra; il simbolo evocativo, come scrive Stefano Lorenzetto, di un popolo che fu nazione e che ha tutta l’intenzione di riaffacciarsi alla storia. E’ solo questione di tempo
venerdì 3 settembre 2010
ALE ISOLE SPAMPINE'
ALLE ISOLE SPAMPINE' AESIS MENAGO EDRON DELA VENEXIA A SERA
VUALTRE CHE SI DISNAR E ZENA E LE MUSE, OSPITE E DEE
I BARBARI CHE VE VOLEA MORTE
NOME LE GA TUTE ; E QUESTO A NONATRI PUR FASEA
DE POCO EL CAMBIAMENTO , ANTICO , INFAME GROPO.
CHE SE I VOSTRI VIZI E I ANI E LA SORTE COLPA
VUALTRE VE VOLEA COPE', COME EL ZERVEL DEI POPOLI DELA VENEXIA
IN VUALTRE RIVIVE EL GRAN DIR CHE SAGOMA
REGALA ALORI ALA SERVA TESTA.
ADESO LE ORA FENICE LENGUA
DE MARINAR POETA SANTO
L'E' EL PARLAR DELE ISOLE SPAMPINE'
L'E' EL VENEXO EL PARLAR CELESTE.
OGNI ORA , SE MISSIA NEL DISCORAR FORESTO,
ADESO , PISE' CHE DELA TO DIVISA VESTIA,
SIA QUEL CHE VENZE DE LA BARBARIE ALTERO.
VENETO SCRITO E PARLA' da pontico vitruvio
SUL PARLAR EL
SCRIVAR VENETO:
OMNIVM SERENO - IN QUO
TOTA REDOLET LINGVAE GRECAE MAJESTAS"
PONTICO VITRVIO
TRADUZIONI A CURA DI RENATO DE PAOLI
BELLISSIMO E DOTTISSIMO
OVUNQUE SERENO IN CUI
TUTTA RIVERBERA
LA LINGVA GRECA MAGISTRALE
BELO ASSE' DE CI SA TANTO
DA PAR TVTO SEREN
SE SPEIA IN CERCHIO
EL PARLAR EL SCRIVAR
AKEO MAESTRO
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