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sabato 10 luglio 2010

STRABONE ENETI VENETI DI GIGIO ZANON

PARTE TERSA DA LA EGENDA A LA STORIA
I HENETI
Probabilmente Pala è il più antico nome degli Heneti (presente fino dal 3000 a.C.), radice da cui ha origine Paflagonia.
“Paphlagonia limos a tergo Galaticus amplectitur, insignis loco Heneto a quo, ut Cornel. Nepos perhibet, Paphlagones in italiam transuecti, mox veneti sunt nominati. (Julii Solini Polyst)”.
La Paflagonia é bagnata al nord dal mar Nero, confina ad ovest con la Bitinia, a est con il Ponto e a sud con la Galizia.
Il fiume più importante è il Partenio che costituiva, secondo Strabone, il confine occidentale della regione, mentre il fiume Halis (fiume rosso) ne costituiva quello orientale. La capitale Heracleia era detta la città del sole. Tolomeo ricorda anche la città di Venda.
Cassiodoro, autore del VI secolo d.C., scrive che il sole era detto veneto quando era velato d’azzurro e forse questo è il motivo per cui l’azzurro è il colore nazionale dei veneti e come scrive Sansovino”. . . è il colore favorito dai Veneti il turchino onde Veneto e turchino divennero sinonimi...”
Cornelio Nipote (Vitae): “. . . oltre questo fiume vi é la Paflagonia che è stata anche chiamata Pilemenia.. . in questa regione aggiunge gli Eneti dai quali pensa siano derivati quelli che sono detti Veneti”.
Attualmente questa terra si trova in Turchia.
Intorno al 2000 a.C gli Heneti di Paflagonia assieme agli Achei e ai misteriosi Popoli del Mare tentano di sostituire il dominio egiziano e costituiscoi1 colonie in varie parti d’Europa. Dal 1250 la conquista degli Ittiti e dei Frigi dell’Anatolia aggiunta alla concorrenza della città di Troia finisce per eclissare la potenza degli Heneti, in conflitto tra l’ alleanza alla città e le relazioni con gli Achei.
Lo storico Senofonte dice che erano governati da un proprio principe chiamato Pilimene forse per ricordare la loro discendenza dal capo che li ha guidati nella spedizione di Troia.
Dopo la sconfitta di Troia inizia una prima fase di abbandono della Paflagonia.
Secondo Arriano gli Heneti sarebbero stati cacciati dalla loro terra negli anni dell’assedio di Troia probabilmente dagli Assiri e si rifugiano prima in Lidia, poi s’imbarcano per andare al di là dell’Egeo raggiungendo probabilmente le ex colonie; la più vicina alla Lidia era proprio nell’Alto Adriatico ed era una rotta conosciuta fino dai tempi del commercio dell’ambra.
Gli studiosi hanno ipotizzato che la civiltà paleoveneta avesse sede nell’area oggi corrispondente all’incirca al Veneto dove tra il XIII ed il IX secolo a.C. si era sviluppata la civiltà protovillanoviana o protoveneta.
Il termine paleoveneto indica il popolo preromano abitante la pianura veneta che tra la fine dell’età del bronzo e l’inizio dell’età del ferro si caratterizza come gruppo etnico-culturale.
Alla fine del periodo del bronzo approdano nell’alto Adriatico gli Heneti in seguito a quelli eventi che sono riassunti poeticamente nella caduta di Troia e nei “nostoi”, i viaggi degli eroi omerici.
Virgilio nel I libro dell’Eneide (397, tra. Annibal Caro) scrive:

Tal non fu già d’Antenore l’esilio.
Ch’ei non più tosto de l’achive schiere
Per mezzo uscìo, che con felice corso
Penetrò d’Adria il seno; entrò securo
Nel regno de’ Liburni; andò fin sopra
Al fonte del Timavo; e là ve il fiume
Fremendo il monte intuona, . là ve’ aprendo
Fa nove bocche in mare, e mar già fatto
Inonda i campi e rumoregga e frange.

Plinio nel I secolo d.C. riconoscendo la provenienza orientale degli Heneti scrive:
“Venetos troiana stirpe ortos auctor est Cato” (N.H. III, 130)
“. . .oltre il quale vi è il popolo di Paflagonia che alcuni chiamano Pilemenio, chiuso dalla Galazia verso l’interno, poi il centro di Mostra, popolato da Milesii, poi Cromma, dove Cornelio Nipote colloca gli Eneti, dai quali è convinto che si debba prestar fede siano derivati in Italia i Veneti loro omonimi” (VI, 2,5).
Le più prestigiose fonti greche e latine concordano sulla provenienza dalla Paflagonia di quel popolo.
Strabone (1 ,XI):
Alii gentem quamdam cappadocibus...
Id maxime in confesso est, primariam
Paphlagonum gentem fuisse Henetos
E qua fuevit Pylemenes quem et plurimi
Ad bellum fuerunt seculi : qui, aversa Troja,
Amisso duce in Thraciam abierint, vagatique
Deinde in Venetiam pervenerint.

Cornelio Nepote in Vitae scrive:”
“Paphlagones in Italiam transuecti, mox Veneti sunt nominati”
Paphlagonia limes a tergo galaticus
Amplectitur, insignis loco Veneto
A quo, ut Cornel. nepos perhibet,
Paphlagones in Italiam transuecti,
mox Veneti sunt nominati. (Julii Solym Polyst).
Scolio Veronese “. . . Antenore dopo la presa di Troia, fuggì incolume. . . si fermò presso la sorgente del fiume Timavo.”
Come viene riferito da Carlo Silvestri (Antiche Paludi Adriane, 1736): Ene ancor riedo la Chiexa in Santo Laurenzio per mexo la casa nunc noviter fata da Benvegnudo da Treviso doctor et cavalier di sta l’antiqua archa, sopra quatro colloile marmoree et grande, di Antenor con tal epigrafe:
Inclitus Antenor patriam vox nisa quietem
Transtulit huc Henetum Dardanidumque fugas,
Expulit Euganeo, Patavinam condidit urbem,
quem tenet hic umili marmore cesa domus

Erodoto,(I) “ veneti qui sunt in Illyrico”
“Eneti gens Paphlagoniae, ubi mulorum genus repertum ferunt.
Fuit etiam juxta Ethnicorum scriptorem gens apud Triballos, Eneti.
Quin etiam, inquit, dictae equae Enetides”.

Maiandrios storico di Mileto vissuto prima del TI secolo a.C. parla della
venuta degli Veneti dall’Asia.
Livio:
Enetos Troianosque eas tenuisse terras...
ges universa Veneti appellati

Sillio Italico ( Pun.VIII, 600-602):
“Tum Troiana manus, telluri antiquitus orti Euganea profugique sacris
Antenoris oris nec non cum Venetis Aquileia superfluit armis”.
Le ascie di cloromelanite, di giadeite, di eclogite e lo sgorbio di saussurite
ritrovati a Venezia e in altri centri del Veneto sono costituiti da materiali
che non si trovano da noi ma provengono dall’Asia e avrebbero
accompagnato gli Heneti nelle loro migrazioni (Miozzi, Venezia nei secoli).
Secondo la testimonianza di Strabone avevano una lingua caratteristica.
La fonte piu antica in cui si trovano citati e Omero che li chiama Henetoy
che significa lodevoli e Plinio il Vecchio traduce in latino come Veneti. Il nome deriva dalla radice “ven”che significa “amato, amico” quindi significherebbe “membri di gruppi legati da vincoli di parentela” oppure da una radice analoga con significato di “vincitori”.
Nell’Iliade vengono indicati tra gli alleati dei troiani:
“dell’Eneto paese ov’è la razza
dell’indomite mule, conducea
di Pilimene l’animoso petto
i Paflagoni, di Citoro e Sèsamo
e di splendide cas di abitatori
lungo le rive del Parto fiume,
e d’Egialo e di Croipna e dell’eccelse
balze eritine” (Iliide Il, 851-852).
Casanova, Iliade di Omero tradotta in veneziano 11-174, (Ed. Univ. 2005):
Pilimene menava i Paflagoni
Abitanti de Serame e Citera
De l’Eretin, de Egiale, e de Croni
Che el bel Partenio inumidise, e infiora.
Dise la Fama che da sti cantoni
I selvadeghi muli è vegnui fora.
Questi Heneti xe che è po vegnui
Co sto Antenore a far casa su Palui.

Paphlagonon d’hégeito Pylaimenéos làsion ker
ex Eneton, hòthen hemionòn génos agroteràon.


Virgilio (Eneide):

… Hic tamen ille (Antenore) urbem Patavi sedesque locavit
Teucrorum et genti nomen dedit armaque fixit
Troia, nunc placida compostus pace quiescit...
...fondò la citta di Padova, pose la sede dei Teucri,
un nome alle genti e appese le armi troiane
ed ora riposa tranquillamente...

Strabone (XII, 3,8) riconosce che:
“l’opinione più diffusa è che gli Heneti fossero quella importante tribù della Paflagonia dalla quale nacque anche Pilemene; in gran numero essi lo accompagnarono nella spedizione di Troia; avendo qui perduto il loro condottiero dopo la distruzione della città, si trasferirono in Tracia e, dopo aver errato a lungo, giunsero in quel paese che si chiama Enetico”. “ Credo che questi Veneti siano i fondatori degli insediamenti veneti dell’Adriatico... li si ritiene originari della Paflagonia.... gli Heneti si sono trasferiti dalla Paflagonia in Adriatico”.
Catone (fr.42 P.2) nella prima metà del secondo secolo in un luogo testimoniato da Plinio (Nat. 3, 130) definisce i Veneti:
“Troiana stirpe orti”
Catone attesta che i Veneti sono di stirpe troiana.
Apollodoro da Atene citando Zenodoto dice”. . . da Enete, da cui proviene una razza di muli indomabili.”
Secondo la medita Cronaca Savina (Museo Correr, Mnss. Cicogna):
Hor siando in progresso di tempo la guerra di Grecia, con Troiani, per il rapir di Elena Greca donna di Menelao, qual durò anni X continui alla distruttion di Troia la grande, Bardano re de Lugania della desendensia de Palio antico, qual fu li occiso dopo la detta destruttione, la qual fu 4206 anni dalla creation del mundo fin a quel tempo, se partiron molti Sig.ri et baroni Troiani con gente assai di quelle parti, et andò in Cartagine, altri sopra l’isola di Sicilia, e di Sardegna, altri in la Patria, dove gera la città di Roma, et fu Enea troiano con suoi seguaci, et altri vennero nelle parti del del Mar Adriatico, et fu Antenor troiano, qual con zente assai da Provincia de Plafagonia Region dell’Asia, alcuni popoli Eneti navigarono per il mar Egeo, et intorno el golfo del mar Adriatico a costiera, navigorno per la Iliria, cioè Dalmatia et passando in oltre trovarono una gran bocca, e dentro a quella intrando fin a cavo di essa navigando, fereno edificar una Città e numinola terza Troia, hora detta Trieste, nel qual luogo lassò, navigando più avanti con altra zente, fu visto da loro un’altra bocca de alcuni piccoli lidi del mar, dove introrno dentro per veder il sito, e visto el luogo habile a fabbricar, li si affermorno, et edificorno un luogo che Eneto Troiello nominollo, qual fu poi domandato Oligolo, cioè Terra piccola, et qual nel tempo pri.te è nelle ultime parti della città di Venezia.
In un’antica cronaca medita patavina si scrive che quando i primi Heneti si affacciarono sul lago di Garda lo ritennero simile
Quidam lacui sito in Paphlagonia
Unde fuerunt oriundi
Attilio Nodali: “ Circa 1500 anni a.C. nuove genti provenienti dall’area caucasica (Aral, Caspio, Volga) si mossero verso occidente. Una nobile schiatta di cavalieri e di marinai, giunta nella penisola anatolica (odierna Turchia), dopo aver partecipato alle vicende dei principi della Frigia, prese stanza nella vicina Paflagonia, lungo le coste del Mar Nero. Erano i Veneti, che in greco significa ‘degni di lode”, una parte dei quali riprese il cammino per l’Europa e risalì il corso del Danubio fino alle montagne, ove si divise. Quelli che si diressero a nord delle Alpi, raggiunsero l’Atlantico presso l’estuario della Loira e popolarono le coste della Bretagna e della Normandia dedicandosi all’arte della navigazione. Quelli invece che affrontarono la porta orientale dell’Italia, entrarono nella regione degli Euganei, i quali, vinti, dovettero fuggire o sottomettersi”.
Anche alcune divinità ricordano la provenienza degli Heneti.
Reitia-Sainate, che poteva essere definita Trumusiate e Tribusiate, nelle sue raffigurazioni si vedono guerrieri forse “Termonios deivos” gli dei greci del confine; il culto per i dioscuri.
(“Kurioi Dios figli di Zeus)” venivano simboleggiati come due gemelli. Nell’antica Grecia esistevano i Dioscuri a Tebe (Zeto e Anfione) e a Sparta (Castore e Polluce). Polluce era dipinto come un esempio e un modello di virtù e nobiltà virile che piaceva agli Heneti.
I Paleoveneti dovevano essere a conoscenza della liberazione avvenuta per mano dei Dioscuri del primo rapimento di Elena per mano di Teseo; Clitennestra ed Elena (la donna che fu causa della guerra di Troia) erano sorelle dei Dioscuri e sapevano dell’ uccisione del mostruoso cinghiale che affliggeva il regno di Enèo (Ovidio, Metamorfosi). Prima del V secolo a.C. il culto di Eracle era diffuso in tutto il Veneto come dimostra una statuetta in bronzo rinvenuta a Contarina.
Queste genti dell’Adriatico ricordate anche da Erodoto che li definisce Veneti, non sono gli unici Veneti conosciuti dagli antichi perché il nome ricorre per indicare popolazioni insediate in varie zone dall’Asia Minore, alla penisola balcanica e all’Europa. Sono presenti nell’Illirico ricordate da Erodoto come Enetoi nel V secolo a.C. nell’Europa centrale, Plinio e Tacito distinguendoli dai Sarmati li definiscono Veneti, Venedi, Venedae; Tolomeo nel Il secolo d.C. li chiama Uenédai, stanziati probabilmente nella Prussia orientale e nel golfo di Danzica; nella Gallia sono ricordati da Cesare “Fra tutte le tribù abitanti questa costa i veneti sono la più forte. Essi possiedono il naviglio più importante con cui si portano fino alla Britannia” (De bello Gallico); Pomponio Mela nel I secolo d.C. definisce Venetus lacus il lago di Costanza; nel Lazio da Plinio come Venetulani; in Armonica, odierna Bretagna, dal nome Vannes; dal toponimo Ventnor nell’isola di Wight, visto che tenevano collegamenti marittimi dalla Bretagna all’ Inghilterra; in Inghilterra nel Leicestershire da Vennonis (Venonae); nel Belgio da Venta Belgarum (Tolomeo in Francia numerosi toponimi potrebbero richiamare una presenza dei Veneti:Vendomme, Vendoevres, Vendeuvre, Vendranges, Venissieux, Vienn, Vendine, Venelles, Vinon (Savli, I Veneti).
Non tutti gli Heneti sono partiti dalla Paflagonia ma una parte vi si trovava ancora nel 320 a. C. ai tempi di Alessandro Magno:
Jamque ad urbem
ancyram ventum erat,
ubi numero copiarum mito,
Paphlagoniam intrat.
Huic juncti erant eneti, unde quidam venetos
Trahere originem credunt.

Secondo G. Devoto il nome Veneti potrebbe derivare dal vocabolo “vincere”, da “wenet” e “. . . dovunque si trova attestata la parola Veneti ivi sin sono affermati i rappresentanti di una organizzazione di tradizione linguistica indoeuropea meritevole di essere definita e riconosciuta in confronto delle altre come quelle sostanzialmente di vittoriosi”.
Per Prosdocimi i Veneti rappresentano un filone di indoeuropei il cui etnico era Veneti. La Capuis (I Veneti) sottolinea che “mentre gli altri Veneti ricordati dalle fonti non possono essere ancorati ad alcuna realtà storico- culturale, solo attorno ai Veneti dell’Adriatico si è creata una mitistoria cui corrisponde una precisa documentazione archeologica”.
Secondo Prosdocimi gli autori antichi greci e latini che parlano degli heneti sono:
Omero (Il.B 851-2); Alcmane (Diehl, trgg. 1,91); Erodono (1,196; V, 9 );
Sofocle (in Strabone XIII, 1, 53); Euripide (Ippolito, 231, 1131); Ps Scilace
(19, 20); Teopompo in Antigono di Caristo (Hist. Mir.173); Ps. Aristotele
(De Mir.ausc. 119); Eliano (De nat. Anim. XVII, 16; v anche ps. Scimmo
387); Lico di Reggio (in Eliano cit.); Ecateo (in Strabone, XII, 3, 25 ed
Eustazio ad Il. B,852); Apollonio Rodio (Arg. Il, 357-8); Polibio (lI, 17,
5.6; 1118-3; lI, 23, 2;; lI, 24, 7); Ps Scimmo (191, 387); Strabone (1,3 21;
III, 2, 13; IV, 4 , 1; V,i,4-5; V, 1, 8; V 1, 9; V 1, 10; VII, 5,3; XII, 3,
5; XII, 3, 25; XII,3, 8; Xliii, 53); Arriano (in Eust. Ad dion. 378);
Appiano (XII); Tolomeo (lI, 8; III, 1; III, 5, 1 e seg.); Scolii ad Eur. (Hipp.
231, 1131); Scolii ad Ap. Rodio (Arg. Il, 357-9); Esichio (2964, 2969,
2973); Etym. Magnum (340); Su(i)da (1272); Eust. (ad Dion. 378; ad Il B
852); St Bz (s.vv. Evetoi); Catone (in Plinio III, 130); Cornelio Nipote (in
Solino 44, I e plinio Vi, 5); Cesare ( D€ b.g. I, 34; III 7, 3-16, 4; 17, !;
18, 3; IV, 21, 4); Livio (I, 1; X, 2)); T. Livii Periochae ( CIII); Properzio
(I, 12,, 3-4); Plinio (III, 38; 69; 13Q-1; IV, 97; 107; 109; VI, 5; 218;
XVII, 201; XXVI, 42; XXXV, 20; XXXVI, 167; XXXVII, 43); Pompeo
Trogo (in Giust., Hist. Phil. Ep., XX, I, 8-10 e prologo del 1, XX);
Pomponio Mela (Il, 59-60; 111,24); Lucano (IV, 134 e adnot. Ad luc.; VII,
192); Silio it. (VIII, 597, 604 e segg.); Tacito (Germ 46; A Qnn, XI, 23);
Servio ( ad Aen. I, 242, 292; ad Ed VI,65; Sch. Ver. ad Aen. I, 243, 247
); Giordane (Ro. Et Get., V, 34, XXIII, 34); Ermolao il Nero (vv. 1504-
7, 1558).

A LA DIFESA DE TROIA
Meandrio da Mileto attesta che gli Heneti, lasciato il paese dei Leucosiri, si allearono con i Troiani, che da Troia partirono in compagnia dei Traci per stabilirsi intorno al golfo Adriatico, mentre quelli non partecipanti alla spedizione divennero Cappadoci.
Omero: “... procedeva il petto ardito dei Paflagoni di Pilimene...”
Gli Heneti accorsi dalla Paflagonia in aiuto dei Troiani durante la famosa guerra vedono morire il loro capo e suo figlio:
Fu morto il duce allor de’ generosi
Scudati Paflagoni, il marziale
Pilèmene. Il ferì d’asta alla spalla
L’Atride Menelao (Iliade V, 759)

Fiero l’assalse allor di Pilemène
Il figlio, Arpalion, che il suo diletto
Padre alla guerra accompagnò di Troia,
Per non mai più redire al patrio lido.
S’avanzò fuiminò l’asta nel colmo
Dello scudo d’Atride; e senza effetto
Visto il suo colpo, s’arretrò salvando
fra’ suoi la vita, e d’ogni parte attento
Guatando che noi giunga asta nemica.
Ed ecco dalla man di Merione
Una freccia volar che al destro dune
Colse il fuggente, e sotto l’osso, accanto
Alla vescica penetrò dritto.
Caduto sul ginocchio, egli nel mezzo
De’ cari amici spirando giacea,
Steso al suoi come verme; e in larga vena
Il sangue sul terren facea ruscello.
Gli fur d’intorno con pietosa cura
I generosi Paflagoni, e lui
Collocato sul carro, alla cittade
Conducean dolorando. Iva con essi
Tutto in lagrime il padre: e dell’ucciso
Figlio nessuna il consolò vendetta. (Iliade XIII, 826),

Troia grazie all’inganno di Ulisse venne conquistata e Antenore, principe troiano che guiderà poi gli Heneti nel loro viaggio, fu risparmiato. Del famoso cavallo di legno lasciato davanti alle mura di Ilio ne parla Virgilio nel Il libro dell’Eneide
A ciò seguire immantinente accinti.
Ruiniamo la porta, apriam le mura
adattiam al cavallo ordigni e travi,
e ruote e curri a piedi, e funi al collo.
Così mossa e tirata agevolmente
La macchina fatale al muro ascende
D’armi pregna e d’armati, a cui d’intorno
Di verginelle e di fanciulli un coro
Sacre lodi cantando, con diletto
Porgean mano alla fune. Ella per mezzo
Tratta de la città, mentre si scuote
(Eneide 11, 394-404).

Acostossi al cavallo, e ‘1 chiuso ventre
Chetamene gli asperse; e fuor ne trasse
L’occulto agguato
(Eneide 11, 435-437).

Virgilio:
Il gran cavallo,
ch’era a Palla devoto altero in mezzo
stassi de la cttade, e d’ogni lato
arme versa ed. armati (Eneide Il, 544-547).

Nell’ Odissea se ne trova traccia nel racconto che Ulisse fa ad Alcinoo re dei Feaci:
Ma già l’inclito Ulisse in mezzo ad Ilio
Stava con i suoi compagni entro il cavallo,
chè l’avean trascinato i Treucri stessi
Fin sulla rocca (Odissea VIII 547-450).

Quando avesse ospitato il gran cavallo
Dove il fior degli Achivi era rinchiuso
Per recare ai troiani eccidio e morte (Odissea VIII, 561-563).
Parte sedean col valoroso Ulisse
Ne fianchi del cavallo entro la rocca (Odissea VIII 659-660).

Ne parla anche Euripide Le Troiane:
Epèo di Parnasso, il focese, costruì
per consiglio dAtèna, un gran cavallo,
pieno i fianchi d?armati, e lo sospinse,
simulacro funesto, entro le torri.

Il cavallo lasciato dai greci davanti alle mura di Troia era un omaggio alla dea Minerva, ma perché proprio un cavallo? Forse perché sulle mura erano rimasti gli Heneti conosciuti come abilissimi allevatori di cavalli per i quali avevano una speciale predilezione?
Il salvataggio di Antenore, che tanta parte avrà nella storia successiva degli Heneti, viene narrato nella perduta Piccola Iliade.
Polignoto ispirandosi a questa opera a Delfi nella Lesche degli Cnidi, dipinge, in una scena dei Iliupersis, durante la distruzione della città, la casa di Antenore con una pelle di leopardo appesa come segnale concordato con i greci.
Argesilao di Cirene parla di Antenore nella V pitica:
…poiché vide Ilio, tra
nugoli di fuoco e fumo, spegnersi

Antenore era stato accusato di tradimento dai suoi concittadini, perché avendo riconosciio Ulisse che era penetrato in Troia travestito non lo
denunciò.
L’Iliade ne parla come un saggio consigliere di pace che ospita Ulisse Menelao e consiglia la restituzione di Elena:
Primo il saggio Antenor si prese a dire:
Dardànidi,Troiani, e voi, venuti
In sussidio di Troia, i sensi udite
Che il cor mi porge. Rendasi agli Atridi
Con tutto il suo tesor l’argiva Elena.
Violammo noi soli il giuramento,
e quindi inique le nostr’armi sono.
(Iliade b VII, 425-435)

Licofrone (Alex 340-347) informa invece del tradimento di Antenore:
quando la torcia fatale l’irsuto serpente
traditore della pia terra natale
avrà accesa, il terribile cavallo gravido
percuoterà suscitandone dal ventre schiere di armati.

Anche Sofocle, come informa Strabone, narra lo stesso episodio in una
tragedia perduta: “. . . nella presa di Troia. . .davanti alla porta di Antenore
era stata appesa una pelle di leopardo, quale segno di riconoscimento perché
fosse lasciata inviolata la casa... Antenore e i figli, con gli heneti
sopravissuti, trovarono scampo in Tracia e da qui si diressero alla volta della
cosiddetta terra enetica sull’Adriatico.”
Per Dionisi da Alicarnasso (1,46,1) Troia è conquistata dagli Achei sia per l’inganno del cavallo di legno, come avviene secondo Omero, sia per il tradimento degli Antenoridi.
In tarda età imperiale anche Ditti Cretese e Darete Frigio insistono sul tradimento.
Dal IV secolo i commentatori di Virgilio si incentrano sui versi (1, 242-249)
Antenore poté, sfuggito all’accerchiamento degli Achei,
penetrare i golfi il lirici e, sicuro, i riposti
regni dei Liburni.

Per Lutezio Dafnide liberto-storiografo, traditore della Patria non fu solo
Antenore ma anche lo stesso Enea:
“At vero Lutatius non modo Antenorem, sed etiam ipsum
Aeneam proditorem patriaefuisse tradit.”

In un frammento del Laocoonte (fr.373 P.) Sofocle così scrive la partenza di
Enea da Troia:
“sulle porte compare Enea il figlio della dea, portandosi sugli omeri il padre,
dal cui dorso ceraunio pende un mantello di bisso; lo circondano una gran
moltitudine di servi; lo accompagnano molti”.
Voci sorgono contro la ipotesi della “proditio Troiae”, una per tutte quella
di Orazio che nel Carme secolare scrive che Troia è espugnata “sine fraude”, senza ombra di tradimento.
Secondo Sofocle ed Eforo, Antenore è arrivato alla foce del Timavo che viene
definito Antenoreus o Phriygius e fonda la città di Padova.
Col termine di Antenoridi Pindaro designa i Troiani in generale, ma non si
può sapere se le colonizzazioni di vari luoghi nel Mediterraneo attribuiti ad
Antenore non vadano invece ricondotti al fenomeno della “diaspora greca”.
La parte superiore di un’ara in marmo di Aquileia augura buona fortuna agli ospitali Antenoridi che non possono non essere se non i figli di Antenore. Sono detti “ospitali” forse a ricordo dell’ ospitalità con la quale Menelao e Ulisse furono accolti da Antenore quando si recarono a Troia come ambasciatori dei Greci, per negoziare la restituzione di Elena.

Foscolo, Le Grazie:
…all’antenoree prode,
de’santi lari Idei ultimo albergo
e de’ miei padri, darò i carmi e l’ossa.

Fonti letterarie greche parlano di una distruzione di Troia da collocarsi nella fine del XII secolo a.C. Tucidide parla di Agamennone e della guerra di Troia nel par. 9 del I libro delle ‘Storie’ e la datazione è ricavabile anche nel libro V dove i Meli dichiarano di essere di tradizione dorica e di essere stati colonizzati nel 416 a. C. dagli Spartani e quindi da 700 anni. Tra la guerra di Troia e la colonizzazione dorica (“ritorno degli Eraclidi”), passano 80 anni e la data attribuita da Tucidide alla caduta di Troia è il 1196 a.C.
Erodoto ricostruisce la datazione nel cap.145 del Il libro delle “Storie “dove dichiara di essere nato 400 anni dopo Omero ed Esiodo e la distruzione di Troia viene così datata nel periodo 1350- 1250 a.C. Dionisio da Alicarnasso riportando nelle Antichità romane Eratostene da Cirene, colloca la caduta della città negli anni 1184-1182 a.C. Nella “Piccola Cosmologia” Democri da Abdera, filosofo vissuto intorno al 450 e contemporaneo di Erodoto, dice di aver composto questa opera 730 anni dopo la distruzione di Troia quindi nel 1180 a.C. Le vicende della guerra di Troia sono
raccontate anche in opere andate perdute appartenenti al “ciclo troiano”: I Canti Ciprii, l’Etiopide, la Piccola Iliade, la Caduta di Ilio, i Ritorni, I’Heroikos di Filostrato, Troikos di Dione Crisostomo oltre che in quelle di Darete Frigio e da Dictys di Crosso.

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